Dopo i primi due giorni passati ad Amed e dintorni, il terzo giorno della delegazione per il Newroz inizia con il viaggio verso la municipalità di Batman. Percorriamo la strada stretta tra il leggendario fiume Tigri e le verdi montagne della zone di Hasankeyf, lì dove decenni fa i comandanti del PKK iniziarono la lotta partigiana di liberazione.
Hasankeyf, luogo di rara bellezza, perla del Kurdistan nord orientale sulle sponde del Tigri con una storia ultramillenaria (recenti scoperte archeologiche datano alcuni reperti a più di 12.000 anni fa) vede minacciata la propria esistenza dalla costruzione della diga di Ilisu. Un megaprogetto che nell’intenzione del governo turco manderà sott’acqua l’intero borgo e le sue rovine millenarie, insieme ad altri 170 villaggi della zona, in nome del “progresso” e del “benessere”.
La diga, un mostro di cemento alto 138 metri e largo 1820, verrà utilizzata per la produzione di energia elettrica e, soprattutto in prospettiva futura, per la conservazione e la rivendita di acqua. La Turchia, infatti, ha da anni messo in progetto la costruzione di 1.500 dighe su tutto il territorio, assumendosi così il ruolo di potenza nella gestione delle risorse idriche di tutta l’area del Medio oriente.
L’invaso della diga si estenderà per circa 400 km quadrati cancellando così uno dei territori naturalistici e storici tra i più importanti dell’intero pianeta. Al momento, i lavori di costruzione della diga sono completati circa all’80% e la previsione di spesa è pari a 20 miliardi di dollari (cifra che di sicuro andrà ad aumentare).
Per il finanziamento erano state inizialmente coinvolte alcune tra le maggiori banche europee (Svizzera, Germania, Austria e Unicredit) che, però, a seguito dell’azione di boicottaggio messa in atto dalla popolazione, che ha ritirato i propri risparmi dalle banche coinvolte, si sono ritirate lasciando spazio a finanziatori delle due tra le maggiori banche turche.
La messa in atto di questo progetto comporterà lo spostamento di almeno 170.000 persone dall’intera regione e di conseguenza l’abbandono di quelle terre in cui è nata la lotta di liberazione del popolo curdo, cancellando l’identità e contribuendo al processo di assimilazione con il quale il governo Turco cerca da anni di cancellare l’identità di un popolo che non ha nessuna intenzione di arrendersi.
Rispetto a questo, dall’altra sponda del Tigri lo stato turco ha iniziato la costruzione della “nuova città” che nelle intenzioni dovrebbe accogliere gli abitanti di Hasankeyif. Palazzoni dall’aspetto anonimo, grigi e che contrastano fortemente con la tipica fisionomia del borgo. Agli abitanti sono stati offerti indennizzi ridicoli per lasciare le proprie abitazioni. Un compagno ci racconta che per abbandonare il proprio negozio la somma offerta è stata di 3.000 euro, mentre per acquistare casa nella nuova città le cifre richieste si aggirano sopra i 60.000 euro. Un progetto speculativo che vede la forte e determinata opposizione popolare degli abitanti della regione e non, che da anni si oppongono alla distruzione di questo patrimonio dell’umanità nel silenzio assordante della comunità internazionale.
Come militanti NO TAV registriamo le tante analogie di una lotta che ricorda da vicino, per certi aspetti, quella della Val di Susa in termini di impatto devastante sul territorio e di sfruttamento delle risorse naturali, ma anche e soprattutto per la dignità di questa popolazione che non intende rassegnarsi a vedere cancellato il proprio presente e futuro. Segnaliamo in particolare le tante azioni di sabotaggio e lotta contro le due aziende turche impegnate nei lavori di costruzione, come ad esempio il danneggiamento dei mezzi e macchinari di lavoro.
Dopo una passeggiata tra gli splendidi sentieri di Hasankeyf ci dirigiamo verso il campo profughi Ezida nei dintorni della città di Batman. Il campo si trova in uno dei dieci villaggi in cui alcune comunità di Ezidi si sono insediati già anni fa.
Nel campo vivono circa 1.000 persone (la maggior parte delle quali bambini), fuggite da Shengal e Mosul e arrivate in Turchia il 26 agosto scorso tramite un corridoio aperto dai combattenti del PKK e YPG per poi stabilirsi a metà settembre.
Uno dei rappresentanti del campo tiene subito a precisare che il nome del proprio popolo è “Ezidi” e non “Yazidi”, come indicato dalla maggior parte dei media mainstrem (rettifichiamo, quindi, anche il report del 18 marzo); questo perché “Yazidi” è il termine che hanno utilizzato i loro oppressori per identificarli.
Parla di come l’ISIS sia entrato indisturbato a Shengal come a Mosul dove i Peshmerga curdi legati a Barzani non hanno opposto alcuna resistenza, nonostante si fossero impegnati a difendere gli Ezidi vista anche la disponibilità di armamenti pesanti.
Dai racconti ci rendiamo conto della violenza e della barbarie dei daesh. Ci fa rabbrividire il racconto dei 1.500 bambini finiti nelle mani dell’ISIS e addestrati per diventare “soldati”, mentre a Mosul in Iraq, a Telafer, così come altre parti della Siria, le donne sono state rapite, stuprate e vendute per 100 dollari.
Di recente, l’ennesimo episodio raccapricciante: alcune donne sono state rapite con i propri bambini; i daesh hanno poi tolto loro i piccoli rassicurandole sulla loro sorte. Una volta consumato il pranzo le hanno informate che le carne di cui si erano nutrite era quella dei loro figli. Sinceramente troviamo molta difficoltà anche solo nello scrivere queste parole, ma lo facciamo in quanto la richiesta arrivata durante la visita al campo è proprio quella di raccontare e diffondere il più possibile le terribili notizie che arrivano dal fronte.
Così come nel campo Shengal, visitato durante la giornata di ieri (18 marzo), i profughi del campo escludono categoricamente la possibilità di tornare in quella che non considerano più come la loro possibile casa. Il loro destino una volta tornati in quelle zone sarebbe già segnato.
La condizione che si trovano a vivere attualmente è quella di un limbo in cui non esiste nessun tipo di possibilità di ricostruirsi una vita. Il governo Turco non riconosce loro nessun tipo di status. Se vogliono fare richiesta di asilo devono recarsi ad Ankara (distante migliaia di km) con un attesa di 7 anni per ricevere una risposta (come confermato dalle stesse Nazioni Unite).
Anche oggi, come ieri, lasciamo il campo con una stretta al cuore e un sorriso per i bambini che ci salutano correndo verso il nostro autobus.
Ultima tappa della giornata, è la casa delle famiglie dei martiri. L’associazione, che ha una rappresentanza in ogni città e la sede principale ad Amed, è attiva a Batman dal 2007 e si occupa di assistere le famiglie dei martiri che hanno dato la vita nella lotta al fianco del PKK, YPG e YPJ, YJAStar e MLKP. Gli attivisti non solo sostengono le famiglie dal punto di vista economico e psicologico, ma si impegnano a riportare i corpi dal campo di battaglia alle città di appartenenza.
Il co-presidente racconta che a Batman circa 200 persone sono scomparse, magari portate in questura e mai più tornate a casa. Tra gli anni Ottanta e il 2000 in quattro circoscrizioni di Batman, Sason, Askof, Kozlig, Kercewse, sono state rinvenute delle fosse comuni con una decina di corpi, violati, amputati, bruciati. Oggi, le famiglie, insieme all’Associazione per i diritti umani si stanno organizzando per costituire un registro del DNA. Se viene scoperta una fossa, infatti, l’associazione evita di farlo sapere allo stato, che altrimenti violenterebbe nuovamente i corpi trattandoli come animali.
Quelle di oggi sono storie che pesano come macigni e testimoniano l’enorme dignità del popolo curdo che continua a lottare e a resistere. Un esempio da seguire e una forza e perseveranza da portare a casa.
Domani saremo in corteo ed in piazza con milioni di persone che raggiungeranno Amed per il consueto appuntamento al Parco Newroz. Sarà una giornata di grande importanza e di attesta per l’annunciata lettera di Apo….stay tuned!
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