Il nostro viaggio “verso il Rojava” inizia da Amed (nome curdo per Diyarbakir), dove siamo arrivati la sera di mercoledì 13 maggio. Siamo un gruppo di 11 compagni e compagne che con questo viaggio (a cui ne seguiranno sicuramente altri) intende finalizzare i primi mesi di attività solidale e militante della Carovana. Da Amed erano anche partiti i compagni che poco meno di due mesi fa avevano partecipato alla delegazione italiana per i festeggiamenti del Newroz. Questo nostro viaggio, oltre che puntare alla conoscenza diretta di un contesto geografico, politico e sociale che sentiamo molto vicino, ci riporterà in luoghi conosciuti e, speriamo, verso altri ancora da attravesrare e scoprire; e da ultimo ma non per importanza il viaggio sarà l’occasione per consegnare la prima parte dei fondi raccolti in questi mesi di attività della Carovana.
La mattinata di oggi è stato l’unico momento che il gruppo ha trascorso insieme, prima di dividersi tra le due destiazioni di Kobane e Cezire. L’abbiamo trascorsa presso la sede di TUHAD FED, l’Associazione di sostegno alle famiglie dei prigionieri politici kurdi. Abbiamo incontrato una delegazione guidata dai due co-presidenti locali dell’associazione. Durante l’incontro abbiamo avuto modo di parlare delle attività dell’associazione e della situazione generale dei prigionieri politici kurdi. I numeri della repressione turca contro il movimento rivoluzionario kurdo parlano da soli: circa 11.200 prigionieri politici Curdi di cui 450 donne e 200 miorenni divisi in 92 carceri. Attualmente sono 210 i prigionieri malati di cui 50 in maniera molto grave. Molti sono anche i detenuti giovani e giovanissimi. Durante l’incontro ci viene ad esempio raccontato degli eventi dell’ottobre scorso a Amed, durante quattro giorni di manifestazioni per Kobane. In quell’occasione lo Stato turco rispose con 1200 arresti di cui un centinaio di ragazzi minorenni. Tra questi 5 tra i 14 e i 16 anni sono attualmente sotto processo e rischiano una condanna all’ergastolo.In questo momento ci sono anche 110 combattenti YPG, arrestati in territorio turco dopo avervi ripiegato per curarsi delle ferite ricevute durante la resistenza in Rojava.
Con Erdogan la situazione è sicuramente peggiorata. È aumentato l’isolamento dei prigionieri, attraverso la tattica di disperderli nelle varie carceri turche per allontanarli dagli affetti, fiaccarne la resistenza e indebolire la costruzione della solidarietà. Ad aggravare la situazione, mentre prima eranoconsentite visite della durata di una giornata, ora le visite sono di mezzora, un’ora al massimo. Si potevano portare generi di conforto, mentre ora è tutto affidato allo spaccio interno alle diverse prigioni. Tra i principali compiti dell’associazione c’è proprio l’aiuto economico per le famiglie e, oltre a sostenerle per i viaggi, questo viene fatto attraverso una serie di progetti, come ad esempio il sostegno allo studio e alla formazione per i giovani. Per le sue molte attività l’associazione subisce pesanti pressioni. Oltre un centinaio di attivisti di Amed sono stati imprigionati durante la lotta, loscorso anno un attivista che raccoglieva fondi per Kobane è stato condannato a 7 anni per terrorismo, molte manifestazioni dell’associazione vengono fermate e proibite.
Pratiche repressive che non fermano il lavoro del TUHAD, che continua a fornire supporto legale, e tra le molte attività si occupa anche di sostenere i detenuti rilasciati soprattutto dal punto di vista del recupero di buone condizionipsicologiche e fisiche; l’associazione continua a portare avanti il suo “progetto più grande che è ovviamente liberare tutte le prigioniere e tutti i prigionieri”. Abbiamo voluto partire da qui con gli incontri, e all’associazione abbiamo destinato una piccola quota dei fondi raccolti, nella consapevolezza che quello che accade oggi in Rojava è frutto di un percorso rivoluzionario di lunga durata, un percorso durante il quale lo stato turco ha represso con durezza un popolo che continua a non arrendersi, e sostenere quanti sono in carcere e le loro famiglie è un punto fondamentale per continuare la lotta.
Nel primo pomeriggio ci spostiamo verso Suruc, al confine Turco-Siriano. Percorrendo la strada che ci porta verso la sede della Municipalità di Suruc, dove ci attendono i compagni, sfrecciano veloci davanti a noi i campi profughi che in questi mesi hanno accolto le decine di migliaia di sfollati Kobane e dintorni.
Il primo che incontriamo è l’enorme campo gestito dall’AFAD (protezione civile Turca) che si staglia con le sue centinaia di tende bianche sulla collina che affaccia su Aligor. Come abbiamo gia avuto modo di sapere, questo campo è gestito direttamente dallo Stato Turco in pieno stile militare con scarse (se non nulle) possibilità di muoversi liberamente. Gli altri campi, autogestiti e supportati dalle municipalità curde, vanno man mano svuotadosi e le tante piazzole orfane delle tende ci segnalano come il rientro della popolazione a Kobane proceda spedito.
Infine raggiungiamo la sede della municipalità di Suruc dove finalmente riusciamo a portare a destinazione i 55 kg di farmaci raccolti in questi mesi, insieme ad una sedie a rotelle che ha “bucato” la frontiera in modo decisamente particolare, grazie ad un compagno “azzoppato” magicamente guarito una volta giunto a destinazione.
La sera ci coglie ospiti di una famiglia di Kobane sfollata 3 anni fa, che ci offre una cena pantagruelica e una confortevole sistemazione per la notte, e tra chiacchere, chai e tabacco ci avviamo verso il riposo necessario ad affrontare una nuova giornata.
Carovana per il Rojava – Torino (14 Maggio 2015)