Welcome to Kobani!
Dopo il nostro arrivo a Suruc nella giornata di Giovedì e dopo alcune ore di attesa passiamo finalmente il confine Turco-Siriano provando direttamente sulla nostra pelle la durezza e l’assurdità delle frontiere. Arriviamo a Kobane che è notte da un po’. All’ingresso in città scorgiamo il cartello verde scuro “Benvenuti a Kobane”, visto tante volte in questi mesi nelle foto e nei video arrivati fino a noi. Zigzaghiamo tra gli alti dossi che segnalano l’avvicinarsi di un check point. Un partigiano abbassa il fucile quando riconosce nel nostro autista un suo compagno e si avvicina al finestrino del fuoristrada su cui stiamo viaggiando, riempiendoci le mani di caramelle alla frutta…”essere duri senza perdere la tenerezza”. All’ingresso in città è difficile rendersi conto delle condizioni reali di Kobane. La città è quasi completamente buia ed il silenzio viene rotto solamente dal borbottare dei generatori che illuminano solo qualche edificio. Intorno a noi intravediamo illuminate dai fari dell’auto le scritte sui muri che inneggiano alle unità di difesa e ad Apo. Raggiungiamo la Guest House dove ci aspettano per la notte. La felicità di essere arrivati a Kobane ci tiene svegli più a lungo di quanto la stanchezza della giornata ci consiglierebbe di fare.
L’edificio dove abbiamo trascorso la notte è nel quartiere dei comandi delle unità di difesa. Il sole illumina le bandiere delle YPG/YPJ che sventolano sopra i diversi edifici, ma ci mostra anche la città in tutta la sua devastazione dell’assedio dell’ISIS. Con i compagni che ci hanno accolti e ci accompagnano proviamo a stilare un programma di massima, e decidiamo di dedicare la mattinata di oggi a uno degli obiettivi del nostro viaggio, ovvero la questione sanitaria. L’incontro con alcuni combattenti delle YPG
è anche l’occasione per capire più a fondo le difficoltà che si stanno affrontando, come quella della gestione dell’educazione scolastica, di cui si sono fatte carico le stesse unità di difesa.
A bordo di un furgone attraversiamo la città sventrata da mesi di dura battaglia; tutto intorno a noi parla di distruzione con tonnellate di macerie ed edifici piegati su se stessi quasi fossero di carta. I cavi della rete elettrica cadono penzolanti sulla strada, mentre un immenso polverone sembra avvolgere tutte le cose. Addentrandoci nei vicoli della città fanno breccia gli abitanti rientrati a Kobane dopo la liberazione della città (circa 70.000 di cui la maggior parte nei villaggi intorno a Kobane).I tanti bambini per strada, le donne e gli uomini intenti a ripulire le strade dalle macerie e le prime attività commerciali riaperte ci fanno intendere che la determinazione di chi vive da queste parti è ben lontana dal potersi considerata fiaccata.
Raggiungiamo in uno dei quartieri più prossimi alla frontiera il vecchio ospedale. Si tratta di un seminterrato che ospita una sala operatoria, un magazzino, un ambulatorio, un laboratorio di analisi e una stanza per i degenti. Le condizioni sono precarie, qui tutto lo è, ma questo luogo negli scorsi mesi così come oggi, ricopre un ruolo di fondamentale importanza in quanto è proprio qui che vengono portate le partigiane ed i partigiani feriti al fronte. Ne conosciamo alcuni che riposano nel letto con affianco i loro fucili. Dai dottori fino alle donne ed agli uomini che si occupano di assicurare un pasto a pazienti e personale, tutti continuano a portare avanti il loro compito anche in condizioni oggettivamente difficili.
Ci spostiamo lasciandoci alla nostra sinistra la collina di Mishtanour raggiungendo così la zona ad ovest della città per visitare il luogo dove sorgerà il nuovo ospedale. Abbiamo modo di vedere come i lavori siano già a buon punto; quasi tutte le stanze sono completate, gli operai sono impegnati nei ritocchi finali e “tra 12-13 giorni” l’ospedale dovrebbe essere completato e aperto al pubblico. Dopo aver visitato un ala già funzionante, incontriamo Ali, uno dei responsabili per quanto riguarda la parte sanitaria, a cui consegniamo i 4000 euro raccolti in questi mesi.
La resistenza di Kobane non sembra proprio essere finita con la liberazione della città lo scorso 26 Gennaio. Qui la resistenza è quotidiana e probabilmente fare i conti con le grandi difficoltà di ogni giorno rappresenta la vera sfida a cui vanno incontro compagne, compagni e abitanti della città. Si resiste alla frontiera, all’embargo messo in atto dalla Turchia che continua a bloccare persone, mezzi ed aiuti umanitari, rendendo praticamente impossibile l’accesso di materiale e personale tecnico specializzato che tanto potrebbe essere utile in una situazione come questa. Si resiste alla vista di una città che sembra impossibile possa risorgere dalle sue ceneri, tanta è la devastazione che si para davanti ai nostri occhi. Si resiste, sembra quasi essere un destino ineluttabile per la Stalingrado del Medioriente.
Intanto il secondo gruppo in viaggio verso il cantone di Cizire è bloccato da più di un giorno dagli uomini di Barzani alla frontiera di Semelka sul confine tra Iraq e Rojava. Stay tuned…
Carovana per il Rojava – Torino (15-16 Maggio 2015)