Dall’accoglienza all’autorganizzazione: una giornata al Newroz Camp

Nel marzo 2015 una delegazione internazionale di 13 donne organizzata (giuriste, avvocate, una farmacista e una fumettista) ha visitato il campo “Newroz” nei pressi della città di Derik, nel Cantone di Cezire, per verificare le condizioni di vita dei rifugiati ezidi e le modalità di gestione del campo.

IMG_3791Il campo era stato inizialmente creato come soluzione emergenziale per dare riparo e accoglienza alla popolazione ezida fuggita dall’area di Shengal, nel nord dell’Iraq, attaccata da Daesh (ISIS) il 3 Agosto 2014. Migliaia di persone hanno così trovato rifugio e protezione nel territorio a nord della Siria, conosciuto come Rojava, grazie al corridoio umanitario aperto dal PKK e dalle Unità di Protezione del Popolo e di Difesa delle Donne, YPG e YPJ.

Nonostante le critiche condizioni materiali in cui versava il campo Newroz nel marzo 2015, già allora era stato possibile riscontrare la palpabile differenza con i campi a gestione governativa in Turchia e nel Kurdistan iracheno, soprattutto in termini di tutela dei diritti fondamentali dei rifugiati e coinvolgimento degli stessi nei processi decisionali e gestionali del campo.

In particolare, i membri della delegazione erano stati lasciati liberi di intrattenere colloqui IMG_3788direttamente con le persone rifugiate e avevano potuto verificare il ruolo primario delle organizzazioni femminili nella gestione di tutte le attività atte a garantire i servizi all’interno del campo. Tale forma di autogestione e possibilità di autodeterminazione delle famiglie ezide ha avuto ed ha tuttora un chiaro impatto anche sui processi di superamento ed elaborazione dei traumi dovuti alle gravissime violenze subite a causa dell’attacco di Daesh.

Ciononostante, nel marzo 2015 erano evidenti le gravi mancanze per ciò che atteneva l’assistenza medica, il cibo, il vestiario, i servizi igienici ed ogni altro aspetto riconducibile ad una carenza strutturale di risorse.

A distanza di un anno, una delegazione italiana ha visitato il campo Newroz. Sin dai primi momenti è stato chiaro come il campo abbia letteralmente cambiato volto. Sono stati creati spazi comuni, il livello igienico-sanitario complessivo è decisamente migliorato Continue reading


Kobane rinasce

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Un anno fa Kobane era ridotta ad un cumulo di macerie. Ovunque si posava lo sguardo si trovavano solamente palazzi distrutti e l’unico segno di vita umana era costituito dalle brigate partigiane di YPG/YPJ che avevano appena liberato la città e che provvedevano a metterla in sicurezza dalle mine e dagli esplosivi lasciate in molte abitazioni civili durante la ritirata, l’ultimo colpo di coda delle bande di Daesh in fuga.

Oggi chi ha la fortuna di visitare la città, stretta ancora fra l’embargo imposto dalla Turchia sul lato nord e le bande di Daesh che controllano i villaggi a poche decine di chilometri a sud, può verificarne con i propri occhi la sua voglia di vita.

Il dolore permea Kobane, come la polvere che imperversa senza posa per le strade del centro: ci sono molti negozi intitolati ai martiri, così come lo è la strada principale, con le immagini dei caduti disseminate lungo tutto il viale; persino l’hotel cittadino, che ha aperto da poco ed è gestito dalla municipalità, è dedicato ad un martire. Sehid Namirin Continue reading


Newroz a Kobane, ritorno a Mishtanur.

1507713_10153712011634355_4197612527135391699_nAbbiamo lasciato Qamishlo la mattina del 20 marzo per raggiungere Kobane, dopo un lungo viaggio in auto lungo la strada che costeggia il confine con la Turchia. Arriviamo a Kobane in serata, quando già le celebrazioni sono cominciate con la visita ai cimiteri dei martiri da parte delle famiglie.

La nostra prima fermata è al cimitero dove sono seppelliti molti dei martiri caduti durante l’attentato del 25 Giugno. Vediamo i familiari raccogliersi attorno alle tombe dei loro defunti: si consuma cibo, si parla, si accendono candele e qualche volta si piange per la perdita dei propri cari. Sin da subito ci rendiamo conto che i festeggiamenti qui sono fortemente condizionati dalla tristezza, perché quasi tutte le famiglie di Kobane hanno avuto almeno un martire.

Tuttavia, durante questo primo giro della città, ci rendiamo conto che Kobane non è la stessa di un anno fa. I lavori di ricostruzione vanno avanti a pieno regime e ormai buona parte delle macerie è stata rimossa dalle strade, sono numerosi i palazzi ricostruiti e le strade sono piene di attività e di fermento. Si respira l’aria di un nuovo inizio, dopo lunghi anni di sofferenza, e qualcuno manifesta la propria gioia sparando dei colpi in aria.

La mattina seguente, dopo un’abbondante colazione offerta dalla famiglia presso cui siamo ospiti, raggiungiamo la collina di Mursitpinar, luogo simbolo della liberazione di Kobane avvenuta il 27 gennaio 2015, dove sono organizzati i festeggiamenti ufficiali: dalla collina dove si svolgerà il primo Newroz della Kobane libera la vista spazia sino al vicino confine con la Turchia e alla cittadina di Suruc.

A poco a poco il fianco del pendio si riempie di gente. I controlli di sicurezza sono accurati e il servizio d’ordine è 1610981_10153711978089355_8863126864047249020_ncondiviso fra Asayish, YPG/YPJ e volontari per il Newroz. Continue reading


La verità sul massacro di Shengal (parte 2)

Il 3 agosto 2014 ISIS ha attaccato Shengal, città incastonata nell’omonima regione montuosa nell’Iraq orientale e da sempre abitata da gli Ezidi, una popolazione depositaria di una cultura millenaria Tutto il mondo è venuto a conoscenza del massacro compiuto da Daesh che ha provocato migliaia di morti, decine di migliaia di persone in fuga, rapimenti di donne e bambini venduti come schiavi sessuali nei mercati di Mosul e Raqqa.

11709892_10153704545004355_9122056220317263085_oLa verità attorno a quello che l’ONU ha definito “genocidio” è rimasta nascosta alla maggior parte dell’opinione pubblica occidentale. Quella stessa verità che è scolpita nelle menti delle vittime e di coloro che hanno combattuto per la liberazione di Shengal e dei villaggi limitrofi.

Abbiamo intervistato il comandante delle YBŞ (Unità di resistenza di Shengal) Serxwebun Azadi, uno dei combattenti in prima linea per la liberazione di Shengal, che ha dipinto descritto lucidamente chi sono stati i mandanti ed il disegno sotteso a questo massacro.

Quando è stato deciso di perpetuare lo sterminio degli Ezidi di Shengal?

Il 3 Giugno 2014 nella città di Amman, in Giordania, si sono riuniti i rappresentanti di Gran Bretagna, Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita, Qatar, Bahrein, Turchia, Iran, Iraq, per definire un progetto di spartizione territoriale del Medio Oriente e di sfruttamento delle sue risorse strategiche.

La strategia non presentava alcun elemento di novità: creare, finanziare ed armare dei gruppi terroristici con lo scopo di destabilizzare gli Stati obiettivo della spartizione, ossia Siria e Iraq, terrorizzando e distruggendo intere popolazioni. Creare così la minaccia per poi potersi presentare come liberatori e portatori di democrazia. Questa è la nuova formula Continue reading


Basur – Shengal – Rojava: tra frontiere chiuse e resistenza

Il Basur o Kurdistan del sud, abbraccia buona parte del territorio iracheno ed in particolare il nord del paese. Dopo la seconda guerra del golfo nel 2003 e la caduta di Saddam, PDK e PUK, partiti guidati da Massoud Barzani e Celal Talabani, sono riusciti con il sostegno dell’occidente, e sotto la forte spinta degli Stati Uniti, ad ottenere dal governo centrale iracheno la formazione di una zona autonoma denominata Governo Regionale del Kurdistan (KRG).
A differenza di Bakur (Kurdistan del Nord in territorio turco) e Rojava (Kurdistan occidentale in territorio Siriano) la politica del KRG si è da subito contraddistinta per la sua forte impronta filo-occidentale (in particolare statunitense) ed un organizzazione prettamente tribale e decisamente capitalista, che ha visto Barzani (e la sua famiglia) accrescere il proprio potere imponendo un monopolio tanto politico quanto economico, anche e soprattutto grazie alla vendita di petrolio e agli stretti rapporti commerciali con i paesi occidentali, ma anche con gli alleati strategici nell’area mediorientale, prima fra tutti la Turchia.
Raggiungiamo Erbil (Hewler) nella nottata del 14 Marzo con l’obiettivo di passare da lì a poco la frontiera di Semelka, di fatto unica via legale per raggiungere il Rojava accerchiato dall’embargo imposto dalla Turchia che tiene blindati i 911 km che la dividono con la Siria. La nostra richiesta viene respinta. Di lì non si passa. I media rilanciano la notizia che il KRG ha deciso di chiudere a tempo indeterminato la frontiera, coerente in tutto e per tutto con la politica dell’alleato turco.

10264208_10153694824649355_6657880622072694610_oPrendiamo tempo e raggiungiamo Kirkuk, città liberata dalle milizie di Daesh (ISIS), grazie soprattutto all’intervento del PKK che sulle montagne del Basur ha storicamente impiantato le sue basi.
Dopo diversi check-point e relativi controlli da parte delle forze Peshmerga, arriviamo nella base di HPG e YJA Star, unità militari maschili e femminili del PKK. Veniamo accolti con la consueta ospitalità ed un inaspettata colazione che fa da contorno ad una piacevole chiacchierata sulla situazione nella zona e non solo.
Arrivati in città nell’Agosto 2014 per arginare l’avanzata di ISIS, il PKK si è rivelato fondamentale per la liberazione di Kirkuk e tuttora continua a combattere Daesh chilometro per chilometro, anche spingendosi nelle zone a maggioranza araba. Dall’arrivo a Kirkuk è iniziata una particolare e complicata convivenza con i Peshmerga, forze militari espressione dei due partiti che si sono letteralmente spartite il territorio del KRG. Nonostante Barzani non abbia mai nascosto il suo disprezzo verso il PKK ed i rapporti politici stiano a zero, sul campo si prova una difficile collaborazione che, come consuetudine consolidata, vede i guerriglieri e le guerriglieri fare “il lavoro sporcoContinue reading


30 Gennaio 2016 – Dall’ISIS alla Turchia sosteniamo la resistenza dei Curdi (presidio in Piazza Castello – Ore 15)

DALL’ISIS ALLA TURCHIA: SOSTENIAMO LA RESISTENZA DEI CURDI

PRESIDIO IN PIAZZA CASTELLO -⁠ TORINO -⁠ 30 GENNAIO 2016 -⁠⁠ ORE 15

presidio-30012016-webUn anno dopo la gloriosa liberazione della città di Kobane, il popolo curdo è ancora in lotta!
Mentre in Rojava (Siria del Nord) le unità di difesa popolare YPG/⁠⁠YPJ continuano a combattere contro daesh liberando centinaia di villaggi e facendo arretrare sempre di più i miliziani del califfato, il Kurdistan Bakur (Kurdisan settentrionale in territorio turco) è sottoposto ormai da mesi ad un feroce attacco da parte dello Stato turco. Carri armati per le strade, città assediate, quartieri bombardati, diritti umani calpestati e una scia di sangue che non smette di scorrere. Attraverso le dichiarazioni di coprifuoco, Erdogan sta compiendo una nuova pulizia etnica:

-⁠⁠ Da Luglio 2015 425 persone uccise di cui 79 minori e 81 donne

-⁠⁠ 58 dichiarazioni di coprifuoco per un totale di più di 280 giorni

-⁠⁠ 7 distretti, 17 città e 1 milione 377 mila persone colpite

-⁠⁠ 200.000 cittadini Curdi costretti a scappare dalle proprie abitazioni

-⁠⁠ Oltre 250 persone uccise nelle sole città sotto coprifuoco

-⁠⁠ 76 persone uccise dall’inizio dell’anno

Sotto la guida del dittatore Erdogan, lo Stato Turco ha ormai da mesi lanciato una durissima campagna repressiva nei confronti dei partiti d’opposizione (soprattutto HDP -⁠⁠ Partito dei popoli democratici) e dei media. Migliaia di attivisti e militanti politici sono stati arrestati, oltre 20 sindaci di diverse municipalità Curde (legalmente eletti) sono stati prima arrestati e poi sollevati dall’incarico.
Centinai di giornalisti sono stati arrestati in diversi raid per aver
raccontato ciò che accadeva nelle città sottoposte a coprifuoco, o per aver svelato gli intrecci tra Turchia e ISIS.
Da questa estate a decine si contano i casi di esecuzioni sommarie avvenute durante i blitz della polizia o nelle manifestazioni di piazza. Almeno 10 attiviste per i diritti delle donne sono state deliberatamente uccise in alcuni raid ad Istanbul e nelle città del Kurdistan Turco sotto assedio.
La polizia arresta, tortura ed uccise per ordine di Erdogan; solo nel mese di gennaio 12 ragazzi tra i 18 ed i 25 anni sono stati
giustiziati con un colpo di pistola in testa a Van, mentre altre 5
persone sono state trovate morte per strade di Siirt dopo essere stati trascinati dietro alcuni veicoli della polizia con i polsi legati
dietro la schiena.

La Turchia, membro NATO e socio in affari dei nostri governanti e delle fabbriche di armi dietro casa nostra, con una mano finanzia lo stato islamico e con l’altra uccide ed arresta il popolo curdo. Per festeggiare un anno dalla liberazione di Kobane; ma anche per non restare in silenzio, per denunciare la repressione messa in atto dalla turchia e sostenere la lotta rivoluzionaria che ha portato alla proclamazione dell’autogoverno in molte città curde del Bakur.

LIBERTA’ PER OCALAN, PACE IN KURDISTAN!

MED centro culturale curdo torino
Carovana per il Rojava


La Turchia uccide i Curdi con le armi Italiane

M1140005Questa mattina a Torino alcuni/e solidali si sono recati davanti la sede dell’Alenia, società del gruppo Finmeccanica impegnata nella produzione di armamenti militari, fabbrica di morte e leader della produzione di veicoli da guerra quali elicotteri ed arei . Uno striscione con scritto “Erdogan assassino, Alenia complice. #BoycottTurkey” è stato posizionato davanti l’ingresso della fabbrica sul trafficato Corso Marche, mentre il caccia bombardiere che fa bella mostra nella rotonda tra Corso Marche e Strada Antica di Collegno, è stato colpito con vernice rossa mentre un altro striscione denunciava come “La Turchia uccide i Curdi con le armi italiane”.
Nella guerra che lo Stato Turco sta portando nuovamente avanti negli ultimi mesi, da una parte contro il PKK e dall’altra contro la popolazione civile del sud-est del paese, l’Italia (nelle vesti del gruppo Finmeccanica) sta giocando un ruolo primario grazie alla fornitura di armi e veicoli militari che quotidianamente la Turchia utilizza per uccide donne, uomini e bambini. Di fatto l’Italia è complice del massacro e della pulizia etnica che sta colpendo centinaia di migliaia di Curdi con oltre 400 persone uccise da Luglio 2015 ad oggi.
Fermare immediatamente la vendita di armi alla Turchia!
Fermare immediatamente il massacro del popolo Curdo del Bakur!

Chi rimane in silenzio è complice, non sostenere questo crimine, prendi parola!

“Per Finmeccanica la Turchia rappresenta soprattutto un partner industriale anziché un semplice mercato potenziale”, spiegano i manager del colosso militare-industriale italiano. “Nel corso degli anni, la stretta collaborazione tra le società del gruppo e le loro controparti turche ha portato a una solida partnership industriale che si estende ai settori della difesa e della sicurezza. Le attività spaziano da elicotteri per applicazioni militari…”
da “Turchia alla guerra in Kurdistan con le armi Finmeccanica” di Antonio mazzeo


Ecco perchè l’HDP non ha perso le elezioni in Turchia

Le elezioni turche hanno consegnato la maggioranza dei seggi all’AKP di Erdogan in un clima di tensione e intimidazioni da parte della polizia. Ma è corretto dire che l’opposizione esce sconfitta dalla competizione elettorale?

“Non sono state elezioni regolari. Non abbiamo potuto fare una vera campagna elettorale in quanto abbiamo dovuto proteggere il nostro popolo da un massacro. E’ vero, abbiamo perso un milione di voti, ma questa è ancora una grande vitoria perchè abbiamo resistto contro la politica dei massacri e del fascismo.”

0b0a555c-d290-4bd7-bf64-66a392e0dd04Con queste parole i co-presidenti del partito dei popoli democratici (HDP) Selhattin Demirtas e Figen Yuksedag hanno chiuso la conferenza stampa al termine della lunga e tesa giornata del 1° Novembre, che ha visto la Turchia tornare al voto dopo neanche 5 mesi dalle elezioni politiche del 7 Giugno e l’HDP riuscire per la seconda volta a superare l’alta soglia di sbarramento (10%) necessaria per sedere nel parlamento di Ankara.

I media mainstream di tutto il mondo si sono affannati nel celebrare i risultati del voto parlando di “Trionfo di Erdogan” e “sconfitta per i flo-curdi”, ma per avere un quadro obiettivo e completo delle ultime ore, è necessaria un analisi più profonda e che tenga conta di quanto accaduto (e che poco è stato raccontato) degli ultmi mesi in Turchia.

Partiamo proprio dalle parole di Demirtas e del perchè quelle del 1° Novembre non possono essere considerate elezioni regolari.

Le elezioni del 7 Giugno scorso avevano consegnato una situazione nuova, dopo gli ultimi 13 anni di potere incontrastato da parte del piccolo sultano Erdogan. Il suo partito (AKP) ed il premier fantoccio Ahmet Davutoglu hanno per la prima volta dovuto fare i conti con una grossa perdita di consenso, lascito dei risultati delle urne che, soprattutto grazie allo strabiliante risultato dell’HDP (oltre 6 milioni di voti), hanno scombussolato i piani politci di Erdogan: accentramento dei poteri nelle sue mani e riforma in chiave iper-presidenzialista del sistema politico. Nonostante anche prima del 7 Giugno gli attacchi contro HDP, i suoi membri ed i suoi elettori si erano contati a centinaia con l’apice raggiunto nell’attentato di Diyarbakir (che ha di fato riaperto la “nuova stagione” dello stragismo di piazza), è stato certamente a partire dal 20 Luglio (atentato di Suruc) che il livello di attacco e violenza nei confronti dell’opposizione politica e del “vecchio nemico” curdo, si è alzato vertiginosamente.

La brusca interruzione del processo di pace da parte dello Stato Turco è stata ampiamente programmata già prima della bomba che ha ucciso 33 persone a Suruc. Nonostante venga indicato come il momento del ritorno alla lotta armata da parte del PKK, erano già settimane che l’aviazione Turca era tornata a bombardare le sue basi nelle zone del Kurdistan iracheno, violando di fatto gli accordi del 2013 e facendo ripiombare la Turchia indietro di 20 anni.

Gli ultimi mesi

Tre attentati bomba diretti contro HDP che hanno fatto 166 morti e più di 1000 feriti. Oltre 190 sedi del partito attaccate, bruciate, distrutte. Pogrom contro i cittadini curdi con pestaggi, accoltellamenti e morti nella prima settimana di Settembre. Quasi 3500 arresti tra cui 500 membri e dirigenti del partito. 22 sindaci arrestati e rimossi dall’incarico. Tre mesi di terrorismo di Stato contro la popolazione Curda nel sud-est del paese con coprifuoco continuo e 258 civili uccisi dalle forze di sicurezza Turche, tra cui 33 bambini. Sono i numeri terribili della vendeta di Erdogan contro HDP. Sono la “campagna elettorale” dell’AKP ed buona parte dei fattori che hanno prodotto quello scarto di 9 punti percentuali dal 7 Giugno al 1 Novembre. Ignorati dai media mainstream e tollerati da quegli alleati occidentali (Italia compresa) sommessamente impegnati nel tenersi buono il cane da guardia, messo lì a tappare le masse di rifugiati in fuga dalla guerra e dirette in Europa. Continue reading


Torino 31 Ottobre 2015 – Viva la resistenza del Kurdistan – Giornata di mobilitazione!

corteo_31-ottobreVIVA LA RESISTENZA DEL KURDISTAN!

Sabato 31 Ottobre 2015 – Dalle 10 presidio – Ore 14:30 CORTEO
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Edi bese! Basta stragi – Pace in Kurdistan!
Aprire un corridoio umanitario verso Kobane
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TORINO – EX STAZIONE CERES – Corso Giulio Cesare ang. Via Andreis – Porta Palazzo

• Sostenere autogoverno e autonomia democratica contro il terrore dello Stato Turco
• Contro i confini che uccidono, rompere l’embargo che accerchia il Rojava
• Libertà per le vittime della repressione di Erdogan
• No al genocidio politico contro l’HDP (Partito dei Popoli Democratici)
• Sostenere la lotta dello YPG/YPJ contro l’ISIS in Rojava
• Contro la complicità dell’Italia nella fornitura di armi alla Turchia
• Viva la lotta del PKK

Un anno fa, il 1 novembre 2014 nelle piazze di migliaia di città si svolgevano in contemporanea moltissime manifestazioni in sostegno alla resistenza di Kobane, una città simbolo nel nord della Siria vicinissima al confine turco, dove l’ISIS è stato fermato, sconfitto e respinto dopo oltre 4 mesi di assedio della città. Nella città di Kobane a resistere erano le YPG/YPJ, le forze di difesa popolare del Rojava, territorio nel nord della Siria a maggioranza kurda. Resistevano per difendere la città e la regione, ma soprattutto per difendere l’autogoverno e il confederalismo democratico, una vera e propria rivoluzione sociale iniziata un paio di anni prima, quando nella Siria martoriata dalla guerra i kurdi avevano scelto di liberare il territorio del Rojava, autodifenderlo e autogovernarlo non come un nuovo stato, ma in base a una democrazia diretta fondata sulla partecipazione dal basso, all’uguaglianza tra uomini e donne e al rispetto dell’ambiente e delle sue risorse. Un anno fa, Kobane era stretta tra l’ISIS e il governo turco di Taypp Erdogan, che proprio nell’ottobre 2014 dichiarava che Kobane sarebbe stata sconfitta, provocando lo sdegno di piazza dei moltissimi kurdi che vivono in Turchia e di molta parte della sinistra rivoluzionaria turca.
Nel corso dell’ultimo anno molte cose sono successe. La resistenza di Kobane ha vinto e le YPG/YPJ hanno continuato in durissime battaglie a strappare porzioni di territorio sempre più consistenti all’ISIS e il modello di autogoverno si è diffuso presso le comunità dei territori liberati. Kobane, distrutta per oltre l’80% ha iniziato a ricostruirsi, ma gli aiuti internazionali continuano a rimanere bloccati dall’embargo che la Turchia continua a imporre sul confine, un confine chiuso e militarizzato come nomai, segno tangibile della paura di Erdogan e della sua volontà di isolare la rivoluzione del Rojava.
Evidentemente perché le stesse istanze che hanno animato quella rivoluzione da tempo sono presenti e acquistano forza in Turchia. Abdullah Ocalan, leader storico del PKK il partito dei lavoratori kurdi dal 1999 è rinchiuso nell’isola prigione turca di Imrali, ma questo non ha assolutamente impedito alle istanze di liberazione e di rivoluzione sociale di continuare a crescere e a radicarsi tra i kurdi nei territori del Kurdistan turco (Bakur) e a saldarsi nel resto della Turchia con le lotte sociali che contrastano i progetti assolutistici di Erdogan, al potere da 13 anni impegnato in chiare riforme antidemocratiche e in continui insabbiamenti delle denunce di corruzione che riguardano membri del suo governo e del suo partito l’AKP e suoi familiari.
Erdogan è ormai chiaramente un piccolo sultano, il cui potere traballa sempre di più, come hanno ampiamente dimostrato i recenti fatti degli ultimi mesi.
Il 7 giugno, in occasione delle elezioni nazionali in Turchia, per la prima volta una formazione politica che unisce le istanze del movimento di liberazione kurdo e moltissime sigle della sinistra rivoluzionaria turca, l’HDP riesce a sfondare lo sbarramento del 10% e ad entrare in Parlamento con oltre 80 deputati, rendendo di fatto inattuabili i progetti di riforma presidenziale nei quali Erdogan sperava. Due giorni prima delle elezioni due bombe erano esplose mietendo morti e centinaia di feriti in occasione del comizio conclusivo dell’HDP a Dijarbakir.
Il 20 luglio un attacco bomba a Suruc, in prossimità del confine con Kobane uccide 32 giovani socialisti provenienti dalle più grandi città turche. Erano laggiù per denunciare l’embargo cui è sottoposta Kobane e le complicità di Erdogan con lo Stato Islamico.
Il 24 luglio le forze di sicurezza turche danno il via ad una vastissima operazione militare antiterrorismo, l’obiettivo dichairato è l’ISIS, ma in realtà la repressione di abbatte con una durezza incrdibile su militanti e popolazione civile kurda. in poco più di due mesi sono oltre 100 i civili (uomini, donne, anziani e bambini) uccisi dalle forze speciali Turche, numerose città sono state sottoposte al coprifuoco, polizia e militari assediano, torturano e massacrano la popolazione in un orrore che pare non avere fine.
Le barbarie contro i civili vanno avanti ancora oggi in un silenzio assordante.
Inoltre quasi 3000 persone sono state arrestate con l’accusa di essere militanti o simpatizzanti del PKK, dando inizio ad un genocidio politico che vede come principale bersaglio il partito dei popoli democratici (HDP). Molti sindaci sono stati sollevati dal loro incarico e incarcerati per “appartenenza ad un organizzazione terroristica”.
Ma è ormai chiaro a tutti che il vero terrorista è Erdogan. In questi mesi sono state ampiamente dimostrare le collusioni di settori dei servizi segreti e dell’esercito turco con miliziani dell’ISIS, ampiamente sostenuta dalla Turchia con il passaggio di armi e rifornimenti.
Alla vigilia delle nuove elezioni politiche in Turchia, che si svolgeranno il 1° Novembre, a un anno da quando in centinaia di migliaia eravamo in piazza in sostegno all’eroica resistenza di Kobane, la solidarietà ed il sostegno politico al progetto dell’autogoverno e dell’autonomia democratica che sta portando avanti il popolo kurdo, è sempre più necessaria.
Per il 31 ottobre e il 1° novembre sono state lanciate due giornata di mobilitazione a livello internazionale per sostenere la resistenza kurda.
E’ ora di agire ed anche Torino deve continuare a dimostrare la vicinanza con kobane, con il bakur, con il kurdistan tutto. Continue reading


Dalla Val Susa al Kurdistan – Un appello alla resistenza verso il corteo del 31 Ottob

Car* compagn* del movimento NO-TAV,

CO7wN7SWEAAONQIVi salutiamo a nome della resistenza Curda. Siamo seguaci della vostra/nostra resistenza, quella di chi combatte contro chi vuole distruggere un territorio devastando la natura. Avete iniziato con la resistenza nella Val di Susa, ma per tutti coloro che hanno a cuore la difesa del territorio contro capitalisti e mafiosi, siete diventati qualcosa di molto importante e molto più grande che scavalca i confini della vostra valle e si diffonde in tutte le parti d’Italia e non solo. Crediamo che il movimento NO TAV sia diventato speranza e punto di riferimento per coloro che vogliono costruire un Mondo diverso basato su autogestione, rispetto per la natura, per il territorio ed autogoverno contro un sistema repressivo che vuole decidere sulla nostra vita distruggendo i luoghi dove viviamo. Come compagni Curdi abbiamo incrociato più volte le strade della Val di Susa, resistito contro la violenza della polizia, respirato gli stessi lacrimogeni ed intrapreso la strada della lotta per la dignità e la giustizia sociale. Crediamo che conosciate la lotta che come Curdi abbiamo iniziato decine di anni fa: una lotta contro l’oppressione e per la libertà.

Ormai è da molto tempo che abbiamo urlato BASTA ( EDI BESE !) lottando per costruire un sistema nuovo, quello del Confederalismo Democratico, una società in cui uomini e donne sono liberi di autodeterminarsi, in cui tutte e tutti partecipano alla gestione della comunità, in cui viene rispettato l’ambiente e le risorse naturali ed i popoli vivono in pace tra loro. Si tratta di un sistema che mette al centro la dignità delle persone e da la possibilità di vivere senza aver bisogno dei potenti e degli Stati che governano sulle nostre vite. Crediamo che stiate seguendo cosa sta succedendo in Kurdistan Bakur (Nord ) e in Turchia. Quando sta accadendo in questi ultimi mesi è il risultato della sconfitta elettorale di Erdogan durante le ultime elezioni; da quando il Partito dei Popoli Democratici (HDP) ha superato la soglia di sbarramento del 10% alle elezioni di Giugno, Erdogan ha iniziato una nuova guerra contro i Curdi arrestando migliaia di persone (politici, giornalisti, attivisti) Continue reading